Nell’udienza sull’antitrust tenutasi ieri nel Senato statunitense i rappresentanti di Apple e Google sono stati interrogati su una importante questione: le aziende hanno un serio firewall o dei regolamenti interni per evitare di sfruttare i dati di business terzi presenti nei rispettivi App Store a favore dei loro team di sviluppo. In particolare Apple è stata interpellata dal senatore R. Blumenthal sul metodo che essa usa per copiare le altre app, una tecnica tanto comune da essere ormai nota nella comunità di developer Apple come “sherlocking”. 

Sherlock, che ha persino una voce su Wikipedia, era uno strumento di ricerca lanciato da Apple all’inizio degli anni 2000. Un developer di terze parti, Karelia Software, aveva successivamente creato il suo tool complementare, chiamato Watson. Appena ci si rese conto della potenzialità di quest’ultimo Apple copiò alcune funzioni del software e le integrò dentro Sherlock, mettendo fuori gioco il prodotto di Karelia. Da quel momento il termine “Sherlock” è stato impiegato per definire ciò che succede quando Apple copia dei prodotti di terze parti che minacciano o stanno distruggendo il suo impero.

Negli anni molte app hanno accusato Apple di aver usato la tecnica “Sherlock” su di loro: Konfabulator (widget per desktop), iPodderX (podcast manager), Sandvox (per creare website), Growl (per notificazioni in MacOS X), e, più recentemente, F.lux (con la sua blue light per alleggerire la fatica da schermo), Duet e Luna (che permettono di dividere il display dell’iPad a metà) e altri tool per il management delle attività degli schermi. Adesso anche Tile accusa Apple di essere entrato nel suo mercato in maniera anti-competitiva con AirTag.

Alla domanda di Blumenthal il rappresentante di Apple, Kyle Andeer, ha commentato che ci sono team diversi che si occupano dell’App Store e dello sviluppo di prodotti. Quando il senatore ha precisato che per “firewall” intendeva   un divieto di condividere informazioni tra App Store e altri team Apple, Andeer ha detto che vengono fatti dei controlli e che ci sono stati solo una “manciata” di nuovi tool lanciati dall’azienda negli anni: inoltre, ha aggiunto, i competitor sono presenti nello Store e, a volte, sono anche più popolari dei prodotti Apple.

Questa argomentazione potrebbe essere valida per grandi competitor (Spotify contro Apple Music, Netflix contro AppleTV+ o Kindle contro Apple Books), ma la sua credibilità scricchiola in altri casi, come in quello già riportato di Luna e Duet, dove l’aggiunta, da parte di Apple, di Sidecar (che permette di dividere lo schermo di un iPad in due), ha decretato la rovina dei due developer. 

Un altro esempio riguarda il caso delle app che si occupavano dello screen-time: quando Apple ha introdotto nell’aggiornamento iOS questa feature non ha offerto alle terze parti un API, utile affinché i consumatori sfruttassero altre app per gestire il tempo sullo schermo. Blumenthal ha considerato questa riposta di Apple un “no”.

White, il rappresentante di Google, invece, ha dichiarato che ci sono dei controlli che regolano come i dati delle terze parti sono usati. Google, a detta sua, avrebbe un “divieto di usare i dati delle terze parti per competere direttamente con i propri servizi  first-party”. 

A questo punto il tempo del senatore è finito ed egli si è visto costretto a proporre delle domande scritte. L’esito dell’udienza è tutt’altro che scontato, e forse la decisione finale non arriverà neanche a breve: è possibile che il senato seguirà l’esempio delle autorità francesi, ma non è scontato. Apple e Google non sono ancora scagionati. 

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