Clubhouse
BERLIN, GERMANY - JANUARY 26: The invitation-only audio-chat social networking app clubhouse is pictured on a smartphone on January 26, 2021 in Berlin, Germany. (Photo by Thomas Trutschel/Photothek via Getty Images)

In questo periodo di lockdown, che ha costretto la maggior parte delle persone a rimanere in casa per mesi e minato la socialità umana, i social network hanno sicuramente fatto da padroni e sono diventati essenziali nella nostra vita forse più che mai. 

Non a caso proprio nel marzo 2020 è nata Clubhouse “un nuovo prodotto social basato sulla voce che permette alle persone, ovunque si trovino, di chiacchierare, raccontare storie, sviluppare idee, approfondire amicizie e incontrare nuove persone interessanti in tutto il mondo”, come scritto sul sito ufficiale. Clubhouse infatti è un’app che permette di discutere solo ed esclusivamente a voce all’interno di stanze che chiunque può aprire e la cui partecipazione varia da una manciata di persone a svariate migliaia.

Clubhouse è l’unica creatura di Alpha Exploration, una società fondata dall’imprenditore della Silicon Valley Paul Davison e dall’ex impiegato di Google Rohan Seth.

Una particolarità che ha fatto sicuramente discutere è che su Clubhouse non ci si può iscrivere liberamente. Si accede alla piattaforma solo per invito di un amico o di un altro utente già iscritto. Altrimenti è possibile fare una pre-iscrizione e riservare il proprio nome utente, in attesa di essere ammessi. 

Le Room di Clubhouse

Nel 2019, Mark Zuckerberg disse che il futuro di Facebook sarebbe stato “privato”, sempre meno “piazza” e sempre più “salotto” digitale. In Clubhouse non ci sono piazze ma solo stanze.

Clubhouse è organizzato in “Room”, nelle quali gli utenti possono scambiarsi messaggi vocali. Una volta chiusa la stanza, non vengono registrati ma scompaiono.

Le Room di Clubhouse sono chat vocali con tre livelli di accesso: Open, Social (accessibili solo se uno dei nostri contatti fa parte del gruppo) e Closed (esclusivamente su invito). Queste stanze virtuali create da amministratori/moderatori, noti come creator, sono suddivise in aree tematiche e si trasfigurano in un agglomerato di canali di approfondimento che vengono calendarizzati e indicizzati nell’applicazione in modo da essere intercettati facilmente dall’utente – che può selezionare le macro sezioni di suo interesse – assumendo vagamente le sembianze di un palinsesto radiofonico interattivo.

Gli utenti non sono tutti uguali: nella stanza si può essere moderatori, speaker o ascoltatori. Al primo spetta il compito di “curare” la conversazione, invitare gli speaker e dare o togliere loro la parola, espellere utenti dalla stanza. Gli speaker sono coloro che, come dice la parola stessa, parlano; gli ascoltatori (listener) possono assistere e chiedere di intervenire. Tutti (quindi non solo i moderatori) possono segnalare abusi.

Una novità da 1 miliardo di dollari

Clubhouse ha attirato sin da subito l’attenzione degli investitori. Infatti, appena tre mesi dopo la fondazione della società, un investimento da 12 milioni di dollari proveniente dal fondo di venture capital Andreessen Horowitz (lo stesso di Twitter e Facebook) valutava l’app circa 100 milioni; nonostante all’epoca del round la piattaforma non avesse neppure un sito ed fosse frequentata da appena 1500 utenti. 

Se l’uscita dai blocchi è stata fulminea, nei mesi successivi l’app non ha certo rallentato: gli utenti sono diventati circa 2 milioni, solo su iOS. L’app è infatti disponibile per i dispositivi Apple ma non ancora per Android (che è di gran lunga il sistema operativo più diffuso al mondo). Insomma: l’espansione pare essere solo all’inizio.Infatti Andreessen Horowitz a fine gennaio 2021 ha investito su Clubhouse altri 100 milioni, facendo schizzare la valutazione dell’app a un miliardo di dollari e facendola diventare la seconda app più scaricata sull’Apple Store. 

Perchè Clubhouse è diverso dagli altri social

L’enorme potenzialità di Clubhouse deriva dal suo contrasto con gli altri social. Qui non ci sono post, commenti o like, ma la voce è l’unico elemento portante e questo cambia di molto il paradigma classico di un social. La discussione orale permette di avere una rappresentazione più autentica e umana degli iscritti, che non saranno più solo nickname trincerati dietro a una tastiera o una foto acchiappa-like. L’oralità di Clubhouse fa da contraltare all’imperante cultura dell’immagine. La fruizione dei prodotti audio, inoltre, è immediata e multitasking: basti pensare alla moltitudine di attività che si possono svolgere mentre si ascolta un podcast, la radio o un brano musicale.

Ma non è solo una questione di audio contrapposto a testi, foto e video. Clubhouse presuppone anche una diversa modalità di consumo. Siamo abituati a usare Facebook, Instagram e Twitter a rapidissimi intervalli, mentre aspettiamo che bolle l’acqua. Estraiamo lo smartphone, diamo una scrollata, mettiamo un like, rispondiamo a un commento e mettiamo via. E poi ripetiamo questa modalità d’uso per decine di volte al giorno.

Clubhouse è radicalmente diverso: nel momento in cui si individua una stanza che stuzzica l’interesse è richiesto di ascoltare, capire di che cosa si parla, magari intervenire. I ritmi sono inevitabilmente molto più lenti e ricordano più l’approccio che si ha nei confronti di un podcast che quello che si ha nei confronti di Instagram.

Il lancio in tempo di pandemia e di vita social limitata o assente è stato sicuramente indovinato visto che la caratteristica prima di Clubhouse è quella di richiedere tempo.

Inoltre,essendo un social di recente nascita, Clubhouse non ha ancora raggiunto quella saturazione di contenuti dei social network più “affollati”. Risulta quindi ancora di facile fruizione ed esplorazione in ogni suo contenuto, anche se questo vantaggio potrebbe non durare a lungo vista l’impressionante successo dell’app. 

Il potere aggregante di Clubhouse, orientato dagli interessi comuni dei suoi utenti, fa da terreno fertile non solo ai rapporti interpersonali privati o di svago, ma anche professionali: il social è infatti sempre più popolato da professionisti e startupper che trasformano le stanze in spazi di co-working attorno cui si generano fitti network di conoscenze. 

Un successo “programmato”

Mentre l’Europa è stata travolta come una tempesta dall’approdo di Clubhouse, negli Stati Uniti i fondatori si sono preoccupati di programmare il lancio dell’app nei minimi dettagli per assicurarsi il successo. A differenza di quanto avveniva in passato, quando un social veniva buttato nella mischia e buona fortuna, Clubhouse ha invitato alcune delle personalità più note del mondo del digitale e soprattutto dello spettacolo statunitense – tra i primissimi Oprah Winfrey, Drake, Jared Leto, Chris Rock – ammantando questo social di un’aura di esclusività che ha contribuito ad alimentare un chiacchiericcio incessante e misterioso, in cui tanti parlavano di una app che ancora ben pochi avevano sperimentato. 

Il boom è sicuramente arrivato nella serata di domenica 31 gennaio,quando il fondatore di Tesla è sbarcato sul nuovo social, ospite della stanza organizzata dal venture capitalist Marc Andreessen. Apriti cielo: in pochi secondi oltre cinquemila persone hanno invaso il luogo virtuale dov’era appena giunto Elon Musk causando una sorta di “sold out”, tanto da far fiorire ovunque stanze – tutte strapiene – che si limitavano a trasmettere in streaming quello che Musk stava dicendo nell’altra. È stato il primo vero grande evento di Clubhouse, con risonanza globale e che ha rischiato di mandare in tilt i server del social. Insomma dopo quanto avvenuto con Signal e poi con la vicenda GameStop, abbiamo un’ulteriore conferma del fatto che oggi sia Elon Musk a dettare le tendenze del mondo online.

Clubhouse in Italia

Se nella vastità di contenuti di Clubhouse ci si focalizza sui (pochi) disponibili in lingua italiana, ovvero quelli creati da moderatori italiani, questi risultano fortemente polarizzati su conversazioni tecniche avviate da esperti di marketing, influencer e “pionieri” che dibattono su questioni legate alla piattaforma stessa e al suo futuro. Contenuti troppo “Clubhouse-centrici”, insomma, che a lungo andare potrebbero annoiare gli utenti.

Come già accennato, mentre negli US il lancio dell’app è stato pianificato, in Italia il fenomeno Clubhouse è esploso spontaneamente. Nel nostro paese non è stato programmato, per questo i guru della comunicazione sono arrivati dopo, spesso grazie all’invito di loro colleghi stranieri. Come spesso capita gli addetti ai lavori si sono invitati fra di loro, creando una sorta di verticalità sulla comunicazione. Il risultato è che Clubhouse è già invaso da tutti i soliti nomi del panorama italiano dell’influencer marketing e della comunicazione. Ne consegue che la maggioranza della stanze sono a tema “growth hacking”, “monetizzazione”, “personal branding” e cose del genere.Tuttavia, il gruppo Clubhouse Italia sta lavorando per creare una varietà di stanze dove si possa trovare ogni tipo di argomento, dal cinema all’arte o all’attualità.

In effetti, nel giro di pochi giorni Clubhouse sta cambiando. Mentre i primi giorni si attraversava una sorta di LinkedIn in versione audio, oggi è già possibile individuare con facilità stanze in cui si discute di femminismo, di serie tv, di passaporto vaccinale e di crisi di governo.

Un problema di Privacy 

L’ascesa di Clubhouse sottolinea quanto gli utenti abbiano fame di conversazioni con meno intermediazione e più riservatezza possibile. Le stanze sono chiuse, la partecipazione esclusiva, i messaggi (tutti criptati) non vengono registrati ma si dissolvono non appena la stanza si chiude. Ed è qui il grande nodo: tutti gli ambienti chiusi hanno una doppia faccia. Da una parte la privacy spiccata, dall’altra la possibilità di incontrare contenuti violenti, razzisti, sessisti.

La piattaforma,ovviamente ha le sue regole: chi accede deve farlo con il proprio nome e verificare l’identità. L’iscrizione è possibile solo dopo aver compiuto 18 anni e non sono consentiti “abusi, bullismo e molestie nei confronti di nessuna persona o gruppo”. 

La moderazione dei contenuti

Seppure violenza e incitamento all’odio siano vietati, le eventuali infrazioni devono sempre passare da una segnalazione. Qualcosa potrebbe sfuggire, anche perché le persone che frequentano una stanza tendono ad avere interessi comuni: contenuti offensivi, quindi, potrebbero passare sotto silenzio perché approvati dal gruppo che li genera.

Come accaduto per altri social, la crescita degli utenti e dei contenuti renderà sempre più necessario ricorrere alla moderazione dei contenuti e al ban degli utenti.

I fondatori di Clubhouse ne sono consapevoli, ma rivendicano piena discrezionalità sulle proprie scelte. Nelle linee guida per la community si legge che i fondatori si riservano il diritto di determinare cosa costituisce una violazione e cosa no.

Si tratta di un atteggiamento incurante dell’orientamento che si sta affermando – e recepito ormai nel progetto di Digital Services Act presentato dalla Commissione Europea – secondo cui gli utenti hanno diritto a trasparenza di regole e criteri di moderazione oltre che del modo in cui vengono applicati. Ed è anche per limitare comportamenti controversi e contestazioni che – in questa prima fase – i fondatori hanno deciso che si possa accedere alla piattaforma soltanto per inviti.

Il rapporto tra utente invitato e utente che lo invita è molto stretto e fa di quest’ultimo un vero e proprio garante del nuovo iscritto (proprio come in ogni club che si rispetti).

Infatti, il nome di chi ci invita è riportato chiaramente sul nostro profilo e, verosimilmente, condiziona anche i contenuti che ci vengono suggeriti dalla piattaforma. Uno dei fondatori ha anche dichiarato che, in caso di ban di un utente, potrebbe essere bannato anche l’utente che lo ha invitato (ma – al momento – questo non è scritto né all’interno dei termini d’uso né nelle linee guida della comunità).

Inoltre, se c’è un utente che molte persone nella nostra rete hanno bloccato, apparirà un “!” sul profilo di quella persona per farci capire che quel soggetto è poco affidabile o poco gradito dalla nostra “cerchia” (e quindi potrebbe non essere opportuno seguirlo o invitarlo ad intervenire in una stanza).

Confusione sulla normativa della privacy

Oltre al problema del controllo dei contenuti, sembra che Clubhouse pecchi anche di mancanze dal punto di vista normativo per quanto concerne la privacy.

La prima cosa che salta all’occhio è l’assoluta mancanza di un consenso: privacy e termini di servizio vengono accettati con un unico click, in evidente violazione del principio di specificità del consenso. Nel senso che: o accetti tutto, o non ti iscrivi. Tra cui c’è l’obbligo di condividere la rubrica del cellulare.

Mancano inoltre le condizioni di liceità (vengono indicate solo le finalità), si parla di trasferimento dei dati in USA ma non vengono indicate le garanzie, non vi sono termini certi di cancellazione (addirittura anche in caso di disattivazione dell’account “alcune informazioni” potrebbero rimanere nei sistemi, senza specificare quali), parlano di profilazione ma non si comprende come, perché e con quali scopi, o se utilizzeranno dei bot per “leggere” le conversazioni. Del resto non è ancora chiaro nemmeno il modello di business.

Sappiamo che Clubhouse registra l’audio di ogni room ma solo a scopo di prevenzione degli illeciti, con crittografia, per poi cancellarla immediatamente in caso di mancata segnalazione.

Inoltre, incredibile per un social così importante nel 2021, manca completamente ogni riferimento ai diritti dell’interessato ai sensi del GDPR (General Data Protection Regulation), il regolamento europeo su privacy e dati. 

Infine si legge: “la società non vende i tuoi dati personali ma in determinate circostanze potremmo condividerli con terze parti senza ulteriore avviso”, lasciando intendere che potrebbero condividere i dati degli utenti con gli potenziali affiliati.
E’ bene ricordare che servirebbe un consenso specifico per la profilazione e per la “condivisione”, mentre in Clubhouse non viene nemmeno distinto il pulsante di accettazione dei termini e condizioni da quello della privacy.

Insomma, la mancanza di chiarezza sull’utilizzo dei dati potrebbe rappresentare un campanello d’allarme per gli utenti consapevoli.

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